Il risveglio

Mi svegliai quella mattina in una stanza, che non era la mia ed era diversa dalle altre. 
Era il mio primo risveglio lì. Non c'era il forte odore di tabacco, né quello di umidità, che aveva contraddistinto le ultime camere dei ragazzi da cui avevo dormito. 
No. Ancora percepivo l'odore di cera e incenso che fino a qualche ora prima avevano piacevolmente saturato l'aria.
Mi alzai, mi infilai la mia maglia e gli slip, e mi affacciai alla finestra. Era l'alba, il cielo si tinteggiava di rosa, e io avevo voglia di una sigaretta. Mi voltai verso il letto, lui ancora dormiva beatamente. Sorrisi; un po' per imbarazzo, un po' per la tenerezza che mi suscitava quell'immagine.
Cercai di ricostruire mentalmente le dinamiche che mi avevano portata a condividere il letto con quel ragazzo.
L'incontro, le email, i libri letti, la musica, i concerti, le mostre fotografiche, i caffè... Poi ancora, lunghe conversazioni, gli sguardi, i desideri malcelati, la sua camera, un dvd, divano, candele, incenso, bocche che si sfiorano, mani, vestiti, letto, sudore, gemiti... e il risveglio.
E ora, avevo solo voglia di fuggire, affacciata a quella finestra e necessitavo di nicotina.
Uscire, magari lasciando un breve biglietto di scuse, per essere andata via prima che si svegliasse: era tanto meschino, quanto semplice. Il messaggio sarebbe stato chiaro "Non voglio implicazioni sentimentali!".
Eppure, mi piaceva quella stanza così ben arredata, il suo odore... e mi piaceva guardarlo dormire.
Pensai di rimanere e affrontare la "conversazione del giorno dopo".
Mi sedetti sul divano e provai a leggere un libro rubato dalla sua libreria. Scelsi un romanzo francese, ma non ricordo di chi fosse, del resto il mio livello di concentrazione era così basso che non riuscii ad andare oltre la prima pagina. Chiusi il libro e ne fissai la scarna copertina, per un minuto che mi sembrò interminabile.
Avevo di nuovo cambiato idea. Non potevo rimanere, dovevo andarmene prima che si svegliasse, prendere tutte le mie cose e salire sul primo autobus.
Afferrai i miei jeans, nel modo più silenzioso possibile e li indossai in fretta. Li stavo già abbottonando quando una voce pastosa mi chiese « Vai via?».
Trasalii, ero confusa e mi sentivo in colpa; già avvertivo quell'infantile senso di colpa che si prova da bambini quando si è colti a disegnare sui muri di casa.
Mi vennero in mente centinaia di scuse sul perché sarei potuta andarmene... Eppure, lo guardai negli occhi, sorrisi debolmente e dissi « No, avevo un po' freddo»...
Lui mi fissò per qualche secondo, si sedette sul letto senza abbassare lo sguardo « Rimani da me, oggi?».
« Sì».

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